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Ungaretti - grandezza e complessit di un uomo

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Ungaretti e Dio di Roberto Filippetti
Vita di un uomo: questo il titolo - tanto elementare quanto impegnativo - che Ungaretti ha scelto per la propria opera omnia. Vuole dunque presentarcela - scrive Giachery - «come opera che condensa il senso della vita, come opera-vita. In una accezione perciò quasi dantesca e tutt'altro che dannunziana». Ed è il poeta a confermarcelo: «Non conosco sognare poetico che non sia fondato sulla mia esperienza diretta». È un'esperienza di privazione quella che egli ha alle spalle, quando l'incontriamo, ventottenne soldato sul fronte carsico, e lo vediamo deporre sulla pagina quelle folgoranti invenzioni poetiche: nasce in terra straniera, figlio di un contadino lucchese emigrato ad Alessandria d'Egitto per lo scavo del Canale di Suez; presto, all'età di due anni, perde il padre; la madre lo educa entro uno scrupoloso ricordo di quell'evento luttuoso: ogni settimana si andava «al camposanto, dove passavamo ore in preghiera che dovevo seguire, che dovevo accompagnare». Quando da adolescente abbandona la religione, percepita come rituale moralismo, pare privarsi anche del rispetto al Padre, a quell'Origine-Destino che dà senso alla vita. Ma in ciò non è tranquillo.  «Il porto sepolto» Scrivere, tra il '15 e il '16, per Ungaretti è allora dantescamente scendere a sorprendere le proprie esigenze ed evidenze originali: è una «via in giù» verso Il porto sepolto - titolo del suo primo volume di versi. È una discesa verso la sub-stantia, la verità essenziale che dimora sotto la superficie delle cose. Giù in profondità, nel cuore, l'uomo si scopre carico di domande ineludibili. Domanda di identità, di avere un volto, innanzitutto. In memoria: «Si chiamava/ Mohammed Scead/ Discendente/ di emiri di nomadi/ suicida/ perché non aveva più/ Patria». L'amico afro-libanese, compagno di studi ad Alessandria, compagno d'albergo a Parigi, qui in un giorno d'estate del '13 si toglie la vita: colui che aveva avuto un'identità, delle radici, una sorgente da cui discendeva il fiume della sua vita, giunge ora all'autodistruzione. Si è privato dell'essenziale, di quel patrimonio di tradizioni offerto alla personale verifica: la Patria. Ha tentato, ma inutilmente, di costruirsi una nuova identità con le proprie mani: «Amò la Francia/ e mutò nome/ Fu Marcel/ ma non era Francese/ e non sapeva più/ vivere/ nella tenda dei suoi/ dove si ascolta la cantilena/ del Corano/ gustando un caffé». È impossibile ricucire, una volta tagliato, il cordone ombelicale che collega l'io con la dimora abbandonata, con quel luogo in cui il gusto della materialità della vita discende dal riconoscimento di un «orizzonte»: quella visione religiosa del mondo che è alimentata dalla frequentazione quotidiana del sacro. Ungaretti, figlio d'emigrati, sta invece compiendo il cammino inverso. La lirica I fiumi - a cui il poeta ha esplicitamente affidato il compito di sintetizzare la sua prima stagione - descrive un viaggio alle radici, un iniziale ritrovamento della propria identità, attraverso i luoghi della storia di quella «gens» che l'ha generato, e attraverso le tappe della propria vita. Il Serchio - emblema della bimillenaria tradizione contadina dei suoi antenati poi il Nilo e la Senna sono ora ritrovati nell'Isonzo. Non la strada, ma il fiume simboleggia il viaggio della vita: se la strada è sempre in Ungaretti «gomitolo», «groviglio», «cammino senza conclusione», il fiume è invece via certa al destino; è apparentemente un segmento concluso tra sorgente e foce, ma sostanzialmente cerchio - ciclo dell'acqua che dalla foce torna a rigenerare continuamente la sorgente - proprio come la vita umana è in superficie parabola tagliata ai due estremi da nascita a morte, ma in profondità si rivela un cerchio che in un punto totalmente Altro, assoluto (Dio-Cielo) trova il suo luogo di ricongiungimento. L'intuizione di tale mistero è preparata nelle prime strofe de I fiumi da una disposizione contemplativa - necessaria passività di fronte al dato della realtà -: pacificante stupore di chi alza gli occhi sul cielo («e guardo/ il passaggio quieto/ delle nuvole sulla luna»); refrigerante immersione catartica nell'acqua dell'Isonzo. La correlata attività umana è allora umile accoglienza dell'Altro, «inchinarsi dinnanzi all'infinitamente grande» (Dostoevskij) e «ricevere»: - e come un beduino/ mi sono chinato a ricevere/ il sole». Si tratta - commenta Carlo Ossola - «di un cerimoniale d'ingresso nel tempio dell'assoluto che prosegue con i modi della liturgia araba». «Sono una creatura» È nell'intuizione di quel Tu che si inaugura una nuova conoscenza dell'Io, «scoperta» dirà Ungaretti «della condizione umana nella sua essenza»: «Questo è l'Isonzo/ e qui meglio/ mi sono riconosciuto/ una docile fibra/ dell'universo». A riconoscimento della propria indole più vera, la dipendenza. Se «il senso religioso coincide con quel senso di originale, totale dipendenza, che è l'evidenza più grande e suggestiva per l'uomo di tutti i tempi» (Luigi Giussani), tale è il contenuto dell'autocoscienza del poeta che, pochi giorni prima aveva scritto Sono una creatura e, in Destino, si era definito «fibra creata». Quel Tu è però senza faccia, dunque la nuova consapevolezza di sé è ancora precaria: «il mio supplizio/ è quando/ non mi credo/ in armonia/ Ma quelle occulte/ mani/ che m'intridono/ mi regalano/ la rara/ felicità»: se il supplizio ,è l'esito di una percezione disarmonica dell'io, la felicità è esperienza di rari attimi in cui il poeta riconosce di non farsi da sé, scopre il dono («Mi regalano») di essere plasmato da Altro. Il fil rouge della lirica è il dimostrativo «questo» che riconduce all'hic et nunc tutti i dispersi frammenti spazio-temporali; solo una volta compare l'antitetico «quelle», per connotare l'abissale lontananza di quelle arcane «mani» senza volto: «sono» annota il poeta «le mani eterne che foggiano assidue il destino di ogni essere vivente»; sono le mani di un Dio che non può essere ancora nominato (conosciuto) ma è già intuito come scaturigine del proprio istante presente. In tale apertura sul mistero sta il vertice della ragione. Ciò inesorabilmente evolve in esplicita domanda. Fra i rari punti interrogativi, cinque in tutto, che si incontrano nel libro L'allegria, due esprimono l'urgenza di un senso per il dolore e per la precarietà della vita (Destino e Fratelli), due si affacciano su Dio. In Risvegli, alla fine di una strofa pacatamente contemplativa, l'appagamento naturalistico si sgretola nell'impatto con una evidenza: il poeta, rammentandosi «di qualche amico/morto» (forse Mohammed Scead) è costretto a paragonarsi con la realtà del limite ultimo della vita, ed a porsi improvvisa la domanda: «Ma Dio cos'è?». Dello stesso giorno un'altra, brevissima lirica, Dannazione: «Chiuso fra cose mortali/ (anche il cielo stellato finirà)/ perché bramo Dio?». L'io registra il naturale destino di morte della propria imprigionata esistenza: è circondato da una realtà peritura, sia che si guardi attorno, sia che alzi gli occhi verso il firmamento. Ma quest'uomo - il livello della natura in cui anche il «cielo stellato» prende coscienza della propria precarietà - non si chiude disperatamente nel negativo; sente invece urgere dentro prepotente la domanda di Dio. Il limite cosmico rimanda all'infinito, l'inconsistenza del reale, analogicamente, grida il bisogno di un Centro in cui tutto consista. L'analogia, fondamentale cifra stilistica ungarettiana, più in profondità cela una visione del mondo: tutto rimanda anà, oltre sé, più su. Perché c'è nell'uomo un quid, quel qualcosa che Pirandello negli stessi anni chiamava un «superfluo», qualcosa che scorre al di sopra, cioè più su. La meta di tale tensione non è ancora una Presenza, è «un Dio metafisico il cui pensiero può lenire l'angoscia di trovarsi tra cose dannate all'imperfezione e al peccato», come scrive Pasolini, che poi conclude «nell'Allegria un Dio ignoto («Dio cos'è?») aspetta il poeta silenziosamente». Questo libro è sigillato da Pr

 Cristina Bizzarri - 24/08/2014 11:27:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Sì. Quello che unisce non può mortificare.

Aminanima

 Ferdinando Battaglia - 24/08/2014 10:53:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

Così si forzano i testi, che non dicono quello che gli si vuol far dire per rafforzare le proprie tesi e interpretazioni dell’esistente. Al di là di Ungaretti, l’assenza di Dio non dice ancora la sua inesistenza ed è un tema che interroga ed ha interrogato, penso soprattutto nel secolo breve - anche la coscienza dei credenti; pure nulla c’entra il richiamo alle soggettive responsabilità, che investono l’umano a prescindere dal resto. Anche Sartre sosteneva che nei confini del visibile occorre vivere nel massimo del possibile; e a Dio questo nulla toglie e nulla aggiunge.
Tornando ad Ungaretti, sarà onesto considerare tutta la sua vita oppure evitare di utilizzarne solo dei frammenti, a difesa di tesi che non sappiamo quanto sarebbero state da lui condivise se fosse ancora tra i vivi.

 Lorenzo Mullon - 24/08/2014 10:17:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

Grazie, Amina.
Capisco che per tante persone è dura, durissima.
Però bisogna accettare questa assenza di Dio.
In un modo misterioso, senza saper perché, siamo "forse" ~ senza farne un dogma, ognuno verifichi, però lo faccia ~ "forse" noi i responsabili di tutta questa baracca mentale e materiale ( che poi "probabilmente" mentale e materiale sono la stessa cosa ) baracca mentale e materiale che abbiamo di fronte.
Dobbiamo assumercene completamente la responsabilità, senza nasconderci dietro un dio o "Dio" di alcun genere.
Noi "probabilmente" siamo gli unici responsabili delle meraviglie e degli orrori.
Non ce la possiamo cavare invocando la presenza benigna o malevola di altre entità.
E se riusciamo addirittura ad accettare la morte, per quello che è, un cambiamento radicale, ma solo un cambiamento, niente di assoluto, allora ci rassereniamo davvero.
Che problema c’è?

 amina narimi - 24/08/2014 02:48:00 [ leggi altri commenti di amina narimi » ]

Santa Maria la Longa 26 gennaio 1917*
M’illumino
d’immenso
(con un breve
Moto di sguardi)
Scriveva spesso cartoline postali, questa la mandò a Papini

Nelle sue notti c’erano i canti dei beduini, l’ “erotismo furente” “ Tutto è rovente, tutto si annulla in un unico colore giallo dove scompaiono i confini fra cielo e terra” ( che forse ritrovò in quella “mattina”)
E proprio come “Cielo e terra” era nata “mattina”
Le sue conoscenze si formarono sull’illusione dei miraggi, creati dalla luce accecante del deserto che tutto distrugge, per riempire il vuoto di nuove forme. Una luce che allontana l’orizzonte fino all’infinito , da qui nasce la sua poesia fatta di assenze, di miraggi
Il suo animo si è formato in quegli spazi infiniti, immensi, liberi, africani, da qui l’anelito continuo verso l’infinito nella poesia di guerra dell’Allegria cercava nei cieli alpini l’espansione del deserto , s’intrecciano due mondi due esperienze, di cui l’una sottende e “illumina” l’altra
-E’ così che sento nella “mattina” l’unione immensa che lo illumina tra il deserto e il sole delle nostre montagne tutt’uno con la terra e il cielo, ma non ancora con un Dio-
La guerra obbligò l’animo umano a un’estrema nudità- nell’estremo bisogno di immediatezza della poesia- nessuna impresa eroica la guerra ( come per i futuristi) nessuna esaltazione individuale( dannunziana)
Ma: strage di massa in cui l’uomo muore anonimo dove solo il sentirsi fratelli dà valore alla morte- tra una bomba e l’altra c’era il tempo solo per aspre verità- punto di partenza della sua ispirazione, la disperazione:
-“ Ma lampe qui sait mon agonie” diceva Mallarmè-
Lì dove scopre tra lo spavento e la pietà , momenti di fuga dagli orrori: la meditazione poetica
“"tutta l’esperienza della vita non è che una serie di naufragi; forse tutto un naufragio, ma “una docile fibra dell’universo”, passato il naufragio, e restando superstite, né si ferma né si uccide: riprende il viaggio, ricomincia a sperimentare" a trovare conforto nella natura, a sperare, a credere nella vita, ad amare.”
Dove coglie il respiro della natura, i silenzi cosmici, in quella luce dei colori del giorno i segni della purezza perduta, le misteriose voci all’origine del mondo, trasfigurandosi nelle cose poteva sentirsi parte viva del tutto:
“ Trasfigurazione”
Come una nuvola/ mi filtro/ nel sole
Mi sento diffuso/ in un bacio
Che mi consuma/ e mi calma.
Là in quel cielo di Santa Maria la Longa cercava l’armonia, dilatando l’anima :
“Vanità”
D’improvviso/è alto/sulla macerie/ il limpido stupore/ dell’immensità.
Là nella trincea dove “ la morte si sconta vivendo” il suo sforzo è continuo a catturare nell’istante una misura d’eternità..del resto lui stesso ricorderà : “ L’eternità si chiudeva nell’attimo”
il tempo si trasforma in spazio, nelle acque dell’Isonzo le acque scandite dal Nilo in poi ,condensa nella parola le zone luminose d’immagini della sua vita, dove ritrova la sua coscienza storica. È così importante la memoria come progresso dal passato al presente “ mi desto in un bagno/ di care cose consuete” “ Ho ripassato / le epoche/della mia vita Questi sono/ i miei fiumi.
Tutta Allegria è un continuo dualismo una tensione fra elementi contrastanti, tensione temporale, dove l’atto creativo della poesia si “fissa” tra il prima e il dopo:
Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore/di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo/ il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
( I fiumi)
negli orrori della guerra la limpidità della vette dolomitiche- due mondi opposti che si allargano ….fino a divenire Africa ed Europa
dalla vastità del deserto africano alla sue radici :
Questo è il Nilo/che mi ha visto/nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza/nelle estese pianure
Questa è la Senna/ e in quel suo torbido
mi sono rimescolato/ e mi sono conosciuto.
( I fiumi)

Il carnato del cielo/sveglia oasi
al nomade d’amore
( Tramonto)

Solo dopo l’Allegria nel Sentimento del tempo ( 1919- 1935) dopo la contemplazione ridiscende sulla terra –
Dopo l’iniziale celebrazione dell’immediatezza, il carattere diventa più profondo L’Africa si fa sempre più lontana, quanto almeno l’impossibilità di ottenere l’assoluto e la seduzione del “grido” umano diventa l’unica religione nel silenzio di Dio, fino a pietrificarsi in fondo alla gola. In Allegria tutto avveniva nella fusione con la natura, riconoscendosi una docile fibra dell’universo
Ora ha letto Pascal è entrato in contatto con i teologi del cristianesimo, arriva al dibattito su Dio sottoposto all’azione della ragione, i gridi drammatici di Sentimento del tempo , le invocazioni , eppure si ribella ad ogni limitazione. L’uomo è ancora solo con sé e tutta l’umanità che soffre nell’assenza di Dio
Conosco una città/che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

ho visto/la mia città sparire/lasciando/ un poco
un abbraccio di lumi nell’aria torbida/sospesi
( silenzio)
E nel 1928 la svolta: a Pasqua va a Subiaco, il luogo di S. Benedetto, con un amico convertito. Segue la liturgia, fa gli esercizi spirituali. Intanto tra le sue letture compare Pascal, con la sua ansia di Dio, e tutta la sua attenzione è attratta dal senso di catastrofe che promana dal Michelangelo della Sistina.
Ma non sarà mai religione della mortificazione dei sensi.

Buonanotte inoltrata Cristina

 Cristina Bizzarri - 23/08/2014 16:17:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Oh, ciao Lorenzo! Non volevo darti un permesso. Volevo solo dire: scrivi, Lorenzo! Si potrebbe chiamare esortazione, desiderio, auspicio, imperativo con valore di invito, frase amichevole, incoraggiamento (non che tu non abbia coraggio, no no per carità non fraintendere, è un modo di dire!). In breve, un sintagma verbale con una forte sfumatura affettiva. Ma come, tu che affermi con forza e passione quello che senti, ami certamente chevlo si faccia con altrettanta passione e sincerità. Uomo, donna, trans, androgino, ermafrodito, fa lo stesso. No? E liberiamolo ’sto benedetto linguaggio. Liberiamoci dai dogmi, di qualsiasi genere essi siano. Lo ha detto anche il Papa.

 Nando - 23/08/2014 13:25:00 [ leggi altri commenti di Nando » ]

È ovvio che Cristina non ha bisogno di "avvocati" difensori - saprebbe farlo in modo eccellente da se stessa -, anche perché non ci sono "colpe" da cui difendersi; però non è nemmeno giusto intrrpetarne scorrettamente le parole, in un modo a dir poco pretestuoso, direi offensivo dell’intelligenza di chi legge.

 Lorenzo Mullon - 23/08/2014 12:32:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

< magari sono solo in vacanza . . . buone vacanze ! >

 Lorenzo Mullon - 23/08/2014 12:29:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

"Ciao Lorenzo, piantala di rompere le palle e scrivi, scrivi e raccontaci le tue meraviglie senza farne dei dogmi."

grazie per avermi dato il permesso di continuare a scrivere
beh, almeno ho capito chi è il vero capo qui
maggiani, la alaimo & co pare che non contino nulla
non erano loro la redazione?

 Cristina Bizzarri - 23/08/2014 11:17:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Ne sono certa Lorenzo. Ne sono certa.

 Lorenzo Mullon - 23/08/2014 11:03:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

il mondo non è nelle mani degli esseri umani

 Cristina Bizzarri - 23/08/2014 10:19:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Certo Lorenzo, tutta la storia, la storia della letteratura, la storia della filosofia, imbrigliano in reti gli uomini che hanno scritto, sentito, pensato. Per comprendere e dare forma, anche se limita! Anche il nostro scrivere qui è un imbrigliare emozioni. E il tuo sentire e il tuo parlarci è bello, autentico, un invito alla libertà di pensiero. A me tu piaci, e molto. Ma mi fai incazzare - anzi mi "rompi la fica", come a volte dico a chi mi fa incazzare perché sono donna :-D - quando sei assolutista, drastico. Il che non si addice a uno che si dice libero. Se tu lo fossi davvero la smetteresti di rompere le palle e godresti delle tue emozioni, magari rendendone partecipi gli altri - come facciamo tutti qui quando scriviamo - ma senza fare l profeta, visto che nei profeti mi pare tu non creda, o allora, profeti, lo siamo tutti, visto che tutti partecipiamo del tutto. Almeno, io la penso così e non per questo non mi sei simpatico o mi piaci, anche molto per la passione che metti in quello che fai. E, se continui a rompere le palle, non per questo mi piacerai di meno. Ma, sotto quest’aspetto, mi fai incazzare.
Chissà se sono stata chiara, a me piace essere sincera, anche se forse in questo modo mi sputtano e porgo il fianco a critiche - come sto facendo - pazienza! ma almeno l’amicizia è salva e ci diciamo le cose col cuore in mano. Mi dispiace per le parole volgari, ma, come dico ai miei ragazzi quando esagerano, "quando ce vò ce vò" . Ciao Lorenzo, piantala di rompere le palle e scrivi, scrivi e raccontaci le tue meraviglie senza farne dei dogmi.
Baci.

 Lorenzo Mullon - 23/08/2014 01:05:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

sì, di un poeta da imbrigliare

 Nando - 23/08/2014 01:03:00 [ leggi altri commenti di Nando » ]

Buonanotte a te, Cristina.
Il mio grazie infatti non è tanto per la tesi che vi è contenuta, quanto perché mi ha mostrato la ricchezza dello "scavo letterario" effettuato da questo docente, un insegnamento per me sulla bellezza dello studio; qui, di un poeta.

 Lorenzo Mullon - 23/08/2014 01:01:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

uh, ma che tempismo, vi siete messi d’accordo?
avete un ufficio apposito?
un ufficio "cancella libertà del poeta libero"?
complimenti
certo, siamo tutti contraddittori, e male consigliati
a volte persino corrotti

rimane un urlo di libertà
m’illumino d’immenso
in cui non c’è nessun "Dio"
come la mettiamo?

 Cristina Bizzarri - 23/08/2014 00:54:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Buonanotte carissimo Nando. Mi è piaciuto il testo di questo docente
universitario di lettere a Venezia, questo suo studio su Ungaretti. Mi sembra faccia emergere in tutta la sua complessità la lunga, dolorosa, faticosa, ma anche luminosa ricerca di un uomo.

 Nando - 23/08/2014 00:44:00 [ leggi altri commenti di Nando » ]

Grazie Cristina.

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